NP
A
TU PER TU CON AMICI E NEMICI.
Alba
piovigginosa quella del 27 aprile 1945. verso le sei del mattino
telefonammo al Collegio Navale di S. Elena dove si erano già
concentrati gli NP che ci avevano preceduto seguendo la litoranea,
nonché parte delle forze esistenti sul posto. Fu inviata una grossa
barca a motore. Ci precedeva il sergente maggiore Luigi Marini
seguito a breve distanza dal cugino Antonio: arrivati sul posto
d’imbarco lo vedemmo trascinare via da alcuni uomini. Sulle sue
tracce lanciammo due squadre di cinque NP, una comandata da
Borgogelli, l’altra da ragazzi di Venezia, pratico dei luoghi. In
lontananza dai tetti delle case, partirono colpi di fucile uno dei
quali ferì a un piede Borgogelli che fu subito ricoverato in
ospedale. Nel frattempo perdemmo di vista Marini (1)
Collocammo i 20 prigionieri nel sottoponte e disponemmo gli uomini ai
bordi della barca con il compito di tenere sotto tiro incrociato un
piano di finestre per ciascun gruppo: ordine di sparare al minimo
segno di sospetto. A prua e a poppa due fucili mitragliatori. Tutto
andò per il meglio fino a Piazza S. Marco, dove vedemmo avvicinarsi
un’altra barca a motore carica di comunisti, ben individuabili dai
fazzoletti rossi che portavano al collo, i quali avevano creduto
trattarsi di “compagni”. Gli NP si preparavano: il nostro
silenzio e il fatto che nessuno rispondeva ai loro saluti li
spaventarono e invertirono rapidamente la rotta.
A
Piazzale Roma avevamo lasciato tutti i materiali esuberanti sotto la
responsabilità di Ragazzi, con alcuni NP.
Sbarcati
al Collegio navale di S. Elena fummo accolti entusiasticamente dagli
amici che ci avevano preceduti, dal Capitano di Fregata Ferdinando
Corsi e dal capitano di Corvetta Aldo Lenzi.
Nella
stessa mattinata giunse anche il Comandante Buttazzoni e, insieme a
Vercesi, venne deciso di continuare l’addestramento dei circa
seicento tra NP, Lupo, Fulmine, Comando Marina e di un gruppo della X
Mare che aveva sede su un’isola vicina. Vercesi assunse il comando
degli uomini e Zarotti propose un’ufficiale responsabile per ogni
settore: magazzino, spaccio, amministrazione, armeria. Rapido
inventario delle scorte, che risultano abbondanti in ogni senso, ivi
compresi i fondi di cassaforte. Era il 28 aprile 1945. Seicento
uomini in mutandine e maglietta presentarono, a chi ci spiava dalle
case vicine, uno spettacolo forse unico in Europa, ora che la guerra
era finita. Inviammo in giro per la città ragazzi in borghese perché
ci tenessero informati di quanto stava succedendo. Ci riferirono che
la presenza del battaglione paracadutisti della Decima, così
chiamava la gente, teneva ferme in tutta Venezia le velleità di
disordini e proteggeva anche i reparti tedeschi. Quello stesso giorno
alcuni partigiani, fatti audaci dalla nostra tranquilla indifferenza,
piazzarono una mitragliatrice su un tetto vicino. Fu subito
trasferita sul nostro terrazzo una mitragliera da 20 e il capopezzo,
con il megafono, avvertì i dirimpettai che non doveva scappare un
colpo nemmeno per errore. Nessun colpo scappò.
Due
giorni prima del nostro arrivo il Comandante Lenzi aveva già avuto
un contatto con l’Ammiraglio Franco Zanoni, il quale gli disse che
a noi non rimaneva altra via che arrenderci. Lenzi gli aveva risposto
che questa soluzione non era possibile:” Uno si arrende al nemico
quando è in guerra con lui. Io non sono in guerra con voi né voi
siete miei nemici. Io sono in guerra con gli Inglesi e gli americani.
Solo a loro posso arrendermi”. Inutile dire cge questa impostazione
corrispondeva alla realtà ed era condivisa da tutti noi. Forse erano
possibili altre alternative di compromesso ma nessuna avrebbe
garantito, una volta deposte le armi, non tanto il rispetto dei patti
quanto la possibilità di raggiungere incolumi le nostre famiglie.
Vercesi e Zarotti erano di questo parere, confortati da quello dei
nostri uomini migliori e più intelligenti: prigionieri degli inglesi
si sarebbero fati autotrasportare nell’Italia del sud ove avrebbero
ripreso completa libertà di iniziativa, come in effetti avvenne. Di
tutti quelli che seguirono la voce della ragione fu assicurata
l’incolumità anche se, per molti, ciò significò un anno di dura
prigionia. Il CNL farà tutto nei giorni successivi per convincere
Lenzi e Butazzoni ad arrendersi prima dell’arrivo degli Alleati per
potersi presentare loro come i liberatori di Venezia (in teoria in
mano al CNL, in realtà in mano nostra).
IL
CNL INFRANGE I PATTI
Dopo
vari incontri con ufficiali del SIM (Servizio Informazioni della
Marina) Lenzi e Butazzoni si collegarono via telefono con il Comitato
di Liberazione. Il CNL invitato a inviare un parlamentare, si rifiutò
perché Piazzale Roma era ancora nelle mani degli uomini di Regazzi.
Allora Butazzoni, in divisa e armato, salì su una gondola a motore
pilotata da Carusci, in tenuta da gondoliere, e si presentò in
prefettura. Qui incontrò vari esponenti della città, tra cui
l’ammiraglio Zannoni e il maggiore Aurelio Molesini, fortemente
allarmati per la situazione di piazzale Roma dove da un momento
all’altro dovevano arrivare i carri armati e le truppe alleate.
Ragazzi, incurante del pericolo personale, sparava a vista su
chiunque tentasse di affacciarsi al piazzale ed era ben munito anche
di panzerfaust anticarro (2).
Butazzoni
consegnò una sua nota firmata a Molesini con la quale ordinava a
Regazzi di cessare il fuoco. Ragazzi obbedì.
In
un primo momento chiese di aver libero il passo con tutti gli uomini
per Trieste, in difesa della città che stava per essere occupata dai
Titini nel C.L. ma nessuno aveva voglia né potere di assumersi
questa responsabilità. Trattò la resa: tutti gli NP sarebbero stati
lasciati liberi, muniti di un salvacondotto firmato dal C.L.N.,
mentre il solo Buttazzoni sarebbe rimasto a disposizione. Chiese che
fossero inviati plenipotenziari in caserma per l’esecuzione dei
particolari di resa e il verbale fu controfirmato da entrambe le
parti.
Al
rientro del nostro Comandante, Vercesi e Zarotti si dichiararono
perplessi sulla consegna delle armi tanto più che alcuni NP avevano
già deciso di consegnare solo le armi guaste e di nascondere quelle
funzionanti. Il sergente Raffaele Peretti ci pose una domanda cui non
sapemmo rispondere “i salvacondotti sono in grado di garantirci
l’incolumità, sempre?”. Era già tutto pronto a Sant’Elena. Il
giorno dopo entrarono in caserma in veste di plenipotenziari, il
capitano dei Bersaglieri martinelli e il maggiore Molesini a cui
consegnammo le chiavi dell’armeria dopo avergliela mostrata
sracolma delle nostre armi guaste. Conclusa la parte formale degli
accordi ci sedemmo a un tavolo avendo di fronte, Vercesi e io, i due
del CLN: fu facile fraternizzare e suggellare il patto consegnando,
io la ia pistola, Vercesi la sua (3).
Con due
ufficiali erano entrati in caserma un gruppo di carabinieri, una
ventina di armati e un commissario di polizia. Nel pomeriggio le
trattative erano concluse. L’ Ammiraglio Zannoni e alcuni membri
del CNL giunsero a sant’Elena in motoscafo e i comandanti Lenzi e
Butazzoni con tutti gli ufficiali andarono a riceverli al barcarizzo.
L’ammiraglio teneva alla forma e la visita doveva essere il
suggello definitivo dei patti.
Arrivò
però la notizia che tutti gli accodi erano stati annullati per
intervento di gruppi di partigiani comunisti i quali si erano imposti
con la forza al C.N.L. Chiamammo a raccolta gli uomini che in un
baleno, e senza armi, disarmarono i guardiani e, sullo slancio, si
impadronirono di una mitragliatrice puntata su di noi al di là di un
ponticello. Entrarono in caserma subito dopo i due rappresentanti del
CNL, Martinelli e Molesini, molto depressi, che restituirono le
pistole a Vercesi e Zarotti dichiarando da soldati d’onore, che si
consegnavano a noi. Non ci restava che lasciare agli inglesi di farci
da autisti nel trasferimento verso l’Italia centro-meridionale
dove, tra l’altro avevamo non pochi amici.
Per
Venezia era corsa come un fulmine la notizia che i parà della Decima
erano in mar ia su piazza S. Marco “per fare poltiglia dei
comunisti” ; azione che non entrava minimamente nelle nostre
intenzioni. Cessò di colpo, però il ronzare delle barche con
fazzoletti rossi; sfilarono invece motozattere tedesche per andare ad
autoaffondarsi sparando traccianti bianco-rosse-verdi.
Il
2 maggio un ufficiale, un sottufficiale e alcuni soldati inglesi
entrarono con molta discrezione e ci dichiararono loro prigionieri di
guerra aggiungendo che, per il valore dimostrato combattendo, ci
veniva concesso l’onore delle armi e la facoltà di conservare armi
e sentinelle fino al trasferimento. Erano nel reggimento Qeen’s e
la prima impressione non lusinghiera che avevamo fu cancellata quando
apprendemmo che erano specificatamente informati di tutto ciò che ci
riguardava.
ABBRACI
CON GLI NP DEL SUD
Il
giorno successivo Zarotti stava discutendo con il comandante Lenzi
quando, da dietro, si sentì sollevare di peso e piroettare in giro
per la stanza al grido di “Abbiamo finalmente catturato un vecchio
pirata di Tarquinia. Ora staneremo gli altri”. Stesso comportamento
con gli altri ufficiali presenti e grande festa corale soprattutto
quando entrò il comandante Nino Butazzoni. I nuovi venuti erano NP
del S. Marco (del sud) che avevano risalito la penisola combattendo
con gli alleati. Dovevano ripartire subito e noi avremmo voluto
andare a difendere Trieste con loro: Sogni ovviamente
(4) .
Tuttavia ciò che rendeva meno pesante quell’ora era la
dimostrazione dell’amicizia fraterna sopravvissuta a tutte le
traversie.
Avevamo
già provveduto a pagare ai presenti tre mensilità di stipendio,
come premio di smobilitazione, non dimenticando nessuno dei feriti o
dei giacenti in vari ospedali. Poi rifornimmo tutti gli uomini di
indumenti, sigarette e scatolette di viveri: anche in questo caso
fino ad esaurimento delle scorte. Ai molti uomini che ci chiesero di
essere lasciati liberi, dopo aver valutato la situazione di ciascuno
demmo l’autorizzazione solo a quelli che avevano rifugi sicuri.
Altri, non direttamente appartenenti al nostro reparto, se ne
andarono di loro iniziativa ma molti, purtroppo, perdettero la vita.
CON
L’ONORE DELLE ARMI
Dall’
ufficiale che accolse la nostra resa (5)
apprendemmo che alcuni giorni prima gli altri battaglioni del nostro
gruppo si erano arresi a Padova con l’onore delle armi tributato in
modo solenne. Il comunicato delle ore 01 del 29 Aprile 1945 letto da
un’ufficiale britannico diceva.”Anch’io ho conosciuto come voi
il dolore della sconfitta e delle prigionia quando a Tobruk, un
giorno felice per le vostre armi, dovetti arrendermi con la mia
compagnia a soldati valorosi come voi, quanto voi. Tra questi soldati
vi erano anche marinai del S. Marco. In nome di Sua Maestà
britannica concedo al 1° Gruppo di combattimento della X MAS l’onore
delle armi”. Il Gruppo estremo omaggio al valore sfortunato, poté
conservare le armi per l’intera notte e i giorni seguenti.
Il
giorno successivo all’arrivo degli inglesi fu d’obbligo preparare
le cerimonia dell’ammaina bandiera. Fu d’obbligo perché avremmo
voluto ritardarla ancora: a soldati di una lunga milizia dura ed
onorevole è questa la cerimonia più amara che possa toccare.
Schierati
in un perfetto ordine, dopo un breve discorso del Comandante
Buttazzoni, si procedette ad ammainare la bandiera della RSI; intensa
e palpabile la commozione. Il commissario di polizia, turbato, volle
stringere la mano al Comandante ponendosi a sua disposizione. La
bandiera fu fatta a pezzi e distribuita a tutti: molti conservano
ancora quello struggente ricordo.
Le
disposizioni dei vincitori furono le seguenti:
- trasferimento di tutti gli NP in Algeria (le truppe speciali come le nostre costituivano una seria preoccupazione per tutti)
- il solo comandante Buttazzoni doveva restare a disposizione dei servizi militari alleati.
- Buttazzoni, venne trattenuto a Venezia dopo la nostra partenza per la prigionia, subì vari interrogatori dai servizi segreti inglesi e americani. Gli NP del S. Marco del Sud cercarono di convincerlo a fuggire: avrebbero preparato e facilitato la fuga. Buttazzoni rifiutò con fermezza desiderando seguire il destino dei suoi uomini. Da Venezia fu portato prima a Mestre, poi a Rimini e quindi alle Torrette di Ancona:in quest’ultimo campo di concentramento trovò Lenzi, Ceccacci, Fraschini e diversi altri.
In
campo di concentramento noi NP fummo considerati, come truppe
speciali, “recalcitrans” e tenuti spesso separati dagli altri e
controllati più rigorosamente.
VUAGGIO
VERSO LA PRIGIONIA
Zarotti,
incluso tra quelli trasferiti, evitò la lunga traversia degli
interrogatori e forse, ebbe modo di essere scagionato recisamente e
definitivamente.
Mai
il nostro Comandante venne meno alla fiera e dignitosa regola
militare: pose sempre la propria vita a garanzia di tutti i suoi atti
e di quelli dei suoi NP i quali, a loro volta, non furono da meno.
Per il suo comportamento si guadagnò ammirazione e solidarietà:
assai più degli americani che degli inglesi. Dal campo di
concentramento di Torrette (Ancona) fuggi rocambolescamente nel
settembre nel settembre 1945.
Noi
tutti, imbarcanti su vaporetti a avviati verso piazzale Roma sotto la
scorta di pochi soldati inglesi, avemmo modo di far conoscere ai
Veneziani, chissà con quale sollievo per i comunisti, che stavamo
andandocene: chi ci salutava col pugno chiuso riceveva insulti.
Comportamento opposto quando qualche persona, specie in gramaglie, ci
salutava con gesti affettuosi. Perché non ci fossero dubbi sulla
nostra identità, tutti ripetemmo lungo il percorso il ritornello
della canzone “Decima flottiglia nostra che beffasti l’Inghilterra”
e rispondendo, ad ogni “DECIMA MARINAI!” lanciato da Alvisi, con
un formidabile “DECIMA COMANDANTE”!”. Venezia, affollata da una
ressa quanto mai cosmopolita e variopinta, ci ascoltava e guardava
stupita. Quando, vicino a piazzale Roma, passò sotto bordo una barca
da competizione e gli occupanti ci salutarono col pugno chiuso, i
ragazzi senza esitazione si privarono di molte scatolette e la barca
si rifugiò in un rio laterale. Al momento dello sbarco un
mostriciattolo trentenne, una specie di Tersite redevivo, ci accolse
con voce stridula e la frase “impiccateli corda e savon” ecc.
spalleggiato da altri; un ceffone di un nostro ragazzo ristabilì
silenzio e rispetto.
Caricati
su una lunga colonna di automezzi, insieme a tutti gli altri
prigionieri concentrati a Mestre, il giorno dopo partimmo per Forlì
che attraversammo tra due file di folla inferocita urlante minacce di
“ A MORTE!” ; “A MORTE!” , che salivano ad ondate sempre più
violente. La spiegazione venne quando ci accorgemmo che sul telone di
testa era salito il sergente Montini, bolognese, che provocava la
folla con insulti di straordinaria potenza.
Appena
arrivati ad Ancona subimmo la prima razionale perquisizione, con
sottrazione di alcuni di quegli oggetti di valore che alcuni di noi,
ingenui, non avevano pensato di nascondere. Poi partimmo in treno per
Afragola (Napoli) dove ci riunimmo con il grosso del gruppo di
combattimento, cioè Barbarigo, Lupo Colleoni e Freccia.
Trattamento
duro sempre. Pochi viveri, poca acqua, molte angherie. Coricarsi sul
terreno duro e, in viaggio, lo sfibrante passar la notte in 40 per
vagone: impossibile stendersi tutti contemporaneamente (in tutti gli
eserciti si sa bene quanto più contino 8 cavalli che non 40 uomini).
Quando
ripartimmo da Afragola per Taranto, nell’attraversare il paese con
la popolazione che inveiva urlando insulti e minacce, agli inglesi
questa volta, qualificati “carnefici di questi poveri figli”,
Vercesi, Palomba, Alvisi, e decine di altri furono trascinati a viva
forza dentro ai portoni e aiutati a fuggire. Prima di arrivare a
Taranto l’ultima beffa fu quella di sganciare il vagone di coda, i
cui occupanti, usciti sulla massicciata, ci salutarono gridando
Decima e sventolando i fazzoletti.
Ci
imbarcammo a Taranto la terza decade di Maggio. Durante la traversata
passammo il tempo con un nuovo diversivo: arruolare soldati negri, e
non soltanto negri, nel nostro futuro esercito promettendo il doppio
del soldo inglese e americano.
- Luigi Marini fu in seguito liberato in occasione di uno scambio di prigionieri.
- Non avevamo colto l’importanza strategica dell’autorimessa di piazzale Roma: bloccare i carri armati sul ponte di Mestre e impedire l’entrata degli alleati a Venezia avrebbe avuto risonanza mondiale e coronato degnamente la nostra vicenda: Tutto il mondo “liberato”, meno Venezia. E, questo, ad opera degli NP della X Mas.
- Due anni dopo Zarotti si incontrò con Martinelli in piazza de Duomo a Milano: si abbracciarono e Martinelli dichiarò di slancio che mai avrebbe pensato di rimpiangere così intensamente di non aver seguito la nostra stessa strada.
- Si trattava degli NP del sud, tenente medico Athos Francesconi, tenebti Achille Ambrosi e Angelo Garrone, con il gruppo dei Marò al comando del Ten. Ezio Tartaglia, diretti al fronte quali nostri complimenti. Prima di potersi collegare al Btg. Tartaglia si trovò costretto a porre il suo comando a Cà Tiepolo. In quel momento due gruppi di NP del Nord e il gruppo di NP del Sud (al comando di Ambrosi) si trovavano a non molta distanza fra loro ma, in pratico, impossibilitati a congiungersi.
Attraverso
il Po di Goro (il ponte era crollato), Ambrosi giunse a contatto
vocale con il gruppo Tartaglia e ne chiese la resa. Tartaglia obiettò
che, anche volendo, non avrebbe potuto arrendersi a chi,
giuridicamente, non era suo nemico; al che Ambrosi, in attesa che la
situazione si chiarisse, si ritirò momentaneamente dopo aver
scambiato con Tartaglia un corretto saluto militare di congedo.
Nel
frattempo, ormai sopravanzato dal nemico e perciò tagliato fuori
dalla lotta, Tartaglia si era asserragliato nel fabbricato del
Consorzio Agrario di Cà Tiepolo; così, mentre il Btg. NP stava
raggiungendo Venezia dopo una lunga serie di combattimenttùi, egli
si trovò a dover trattare con il CNL del luogo. Fece presente che,
essendo un militare, non poteva dar credito e udienza a civili;
nondimeno, informato che la popolazione aveva urgente bisogno di
farina, fece portar fuori quanto richiesto. Venne in tal modo a
stabilirsi un insolito rapporto di amicizia mentre sul Consorzio
continuava a sventolare la bandiera della RSI unitamente al
gagliardetto della X MAS. Il giorno successivo gli uomini di Ambrosi,
preceduti da un tenente inglese di collegamento, concessero l’onore
delle armi al gruppetto di NP e al loro comandante, Tartaglia, che
rimase libero e in uniforme fino al 30 aprile quando fu invitato a
presentarsi ai Carabinieri per essere avviato a un campo di
concentramento quale unico responsabile del reparto. Tutti i suoi
uomini, muniti di validi lasciapassare, poterono raggiungere le loro
famiglie.
Tartaglia
aveva in precedenza compiuto un’audace missione al Sud, portata a
compimento nonostante fosse rimasto seriamente ferito, guadagnandosi
una Medaglia d’Argento (per motu proprio di Mussolini), una Croce
di Ferro di 1 classe e una promozione per merito di Guerra.
Preghiera
degli NP
Eterno,
immenso Iddio, che creasti gli eterni spazi e ne misurasti le
misteriose profondità, guarda a noi benigno paracadutisti, nuotatori
e arditi d’Italia, che nell’adempimento del dovere, ci lanciamo
nella vastità dei cieli, fendiamo gli sconfinati spazi dei mari e
sfidiamo la morte nelle linee violate del nemico.
Manda
gli angeli tuoi a nostri custodi.
Guida
e proteggi l’ardimentoso volo, sostieni le nostre forze fra i
flutti insidiosi del mare, rinsalda il nostro cuore nell’ora
dell’audacia che decide della nostra vita.
La
nostra giovane vita e tua, o Signore!
Se
è scritto che cadiamo, sia, ma da ogni goccia del nostro sangue
balzino gagliardi figli e fratelli innumeri orgogliosi del nostro
passato; sempre degni del nostro immancabile avvenire.
Benedici,
Signore, la nostra Patria, le famiglie, le nostre mamme, le spose e
tutti i nostri cari.
Per
loro nell’alba e nel tramonto, sempre la nostra vita!
E
per noi, o Signore, il tuo glorificante sorriso.
E
così sia
Nessun commento:
Posta un commento